Francia: Il movimento contro la riforma delle pensioni.

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Sulla soglia di una rivolta?

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In Francia, una nuova ondata di protesta è scoppiata contro il governo di Emmanuel Macron in risposta ad una riforma delle pensioni impopolare. Questo promette di essere la più potente agitazione in Francia [dai tempi] del movimento dei “Gilet Gialli”. Nella seguente introduzione e traduzione, esploriamo le radici, le forme e le prospettive di questo movimento.

Introduzione

“I bastardi lo sanno bene: ciò che temevano nella quasi-insurrezione del 2018 non era tanto un soggetto sociale – checché ne dica la peggiore sociologia di sinistra – e nemmeno un insieme di pratiche. Era un’ingovernabilità, determinata e diffusa. Un’ondata di odio verso l’universo neoliberista.”

-La Haine

Dopo due mesi di proteste tradizionali e scioperi occasionali gestiti dall’intersyndicale (il coordinamento degli otto maggiori sindacati nazionali in Francia), il movimento contro la riforma pensionistica del governo Macron è arrivato al culmine quando Elizabeth Borne (primo ministro di Macron e capo del governo) ha annunciato che avrebbe utilizzato l’articolo 49 comma 3 della Costituzione per attuare la riforma pensionistica senza un voto dell’Assemblea nazionale.

Durante questi primi due mesi, un gran numero di persone è sceso in piazza, ma nonostante il sostegno dell’opinione pubblica, le proteste e gli scioperi non sono stati combattivi. Tuttavia, i deputati dell’Assemblea Nazionale erano divisi; era possibile che la maggioranza si sarebbe opposta alla riforma pensionistica, quindi Borne ha evitato ciò [grazie al citato articolo]. La legge deve ancora essere approvata dal Senato, ma per ora non è questo il punto. I deputati francesi contrari a Macron e Borne hanno chiesto un voto di fiducia, che avrebbe fatto decadere il governo di Borne.

Nella notte di giovedì 16 Marzo, le persone si sono riunite spontaneamente in luoghi simbolici a Parigi e in altre città per protestare contro l’uso dell’articolo 49 comma 3. Con il passare della notte, si sono rifiutate di andarsene, nonostante la polizia sia diventata sempre più violenta. Alla fine, la polizia ha arrestato un gran numero di persone in tutta la Francia – quasi 300 solo a Parigi – che sono state quasi tutte rilasciate senza accuse il giorno successivo.

Nel fine settimana sono scoppiate proteste spontanee (“les “manifs sauvages””) e, approfittando di uno sciopero della raccolta dei rifiuti, hanno riempito le strade di Parigi con i cassonetti in fiamme. Con l’intensificarsi della violenza della polizia, l’aspetto “spontaneo” di queste proteste gioca un ruolo tecnico importante. La maggior parte delle proteste di massa in Francia, come quelle che hanno avuto luogo prima di giovedì, sono “déclarées”: i gruppi le dichiarano in anticipo presso la polizia. Le proteste spontanee sono legali, ma il quadro per la repressione è meno chiaro rispetto alle manifestazioni autorizzate. Si tratta di una questione importante: i tribunali devono ancora decidere se si possa essere arrestati semplicemente per essersi trovati nelle vicinanze di una protesta spontanea, quali siano le conseguenze per chi guida una protesta spontanea, se il diritto costituzionale francese a manifestare includa le proteste spontanee e cosa possa fare legalmente la polizia per colpire le persone che partecipano a queste proteste.

Inoltre, tutte le proteste autorizzate hanno un luogo o un percorso prestabilito, mentre le attuali proteste spontanee sono imprevedibili. Non convergono su un luogo strategico, né hanno un obiettivo particolare, a parte quello di infastidire i poliziotti. Gruppi che vanno da 100 a 1000 persone si muovono in direzioni diverse ed intorno ad una determinata area, barricando le strade, dipingendo e incendiando oggetti. Proprio come è accaduto durante la rivolta [dopo la morte di] George Floyd del 2020 negli Stati Uniti, la polizia non riesce a contenere e controllare più gruppi contemporaneamente.

““Possiamo gestire una protesta da 10.000 persone, ma dieci proteste da 1000 persone in tutta la città ci travolgeranno”.

-Agente di polizia di Los Angeles, estate 2020

Più si affaticano, più i poliziotti diventano violenti. Le persone sono molto coraggiose, ma subiscono anche gravi ferite e traumi.

Queste proteste spontanee di strada si verificano di notte, mentre la mattina presto e durante il giorno, lo sciopero si intensifica, con persone che organizzano sempre più blocchi. Lo sciopero è iniziato prima dell’applicazione dell’articolo 49 comma 3 di giovedì scorso; i principali settori che stanno partecipando sono: il trattamento dei rifiuti (raccolta e incenerimento), la distribuzione del carburante (raffinerie e trasporti), e il trasporto pubblico (trasporto cittadino, treni e aeroporti).

I sindacati hanno chiesto uno sciopero a livello nazionale questo giovedì 23 Marzo. Quando la leadership lo ha annunciato la scorsa settimana, è apparso come uno sforzo per la pacificazione, per far uscire la gente dalle strade; ma poiché la gente non ha cessato di scendere in strada, [questa situazione] rappresenta un’opportunità di escalation. Ci aspettiamo che il paese venga bloccato e che i sindacati vengano sopraffatti dalle azioni dirette spontanee in tutto il paese, coinvolgendo sia i gruppi autonomi che le sezioni sindacali locali. Ciò ha già cominciato a verificarsi, ad esempio a Fos-sur-Mer o a Rennes.

A Parigi, le persone che guidano lo sciopero sono i netturbini, che lavorano in tre luoghi diversi. Sono in sciopero dal 7 Marzo e da allora hanno mantenuto i picchetti. Solo un picchetto è stato violato dalla polizia, e da allora si è riformato. Hanno bisogno di soldi per continuare lo sciopero. Sono diventati in qualche modo le stelle del movimento, perché l’immondizia che si accumula nelle strade di Parigi ha fornito alla folla notturna il materiale ideale da incendiare – una risorsa senza fine finché i camion della spazzatura restano inutilizzabili.

In generale, le persone che partecipano ai picchetti sono lavoratori [e lavoratrici] e persone di sinistra di vario genere, mentre coloro che percorrono le strade di notte sono più giovani e chiassosi. Questi gruppi non sono antagonisti tra loro – una cosa che non è sempre accaduta nel panorama politico francese. La gente sembra divertirsi a incontrarsi quando e dove può; non ci sono assemblee generali che riuniscono tutte le generazioni, ma né i sindacati né la sinistra più anziana condannano le rivolte notturne.

Nei mesi precedenti si è sviluppata una conversazione su come il COVID-19 abbia causato una rottura nella trasmissione di tecniche, storie e culture di lotta nei circoli attivisti francesi, e su come questo abbia portato alla propagazione di una politica centralizzata (e francamente noiosa) in molte università. In questo movimento, stiamo assistendo all’emergere di nuove formazioni politiche e di esperimenti decentrati e autonomi di azione diretta e resistenza, che rivelano i limiti dei mezzi tradizionali di controllo e repressione. Gli eventi della scorsa settimana dimostrano che possiamo mettere a tacere i timori sulla passività delle giovani generazioni.

Lunedì scorso, l’Assemblea nazionale ha votato per non respingere il governo, suscitando ulteriore indignazione. Il fatto che il governo di Macron e Borne rimanga al potere manterrà stabile, per ora, il precario equilibrio tra le agende nazionaliste e di sinistra. Ma per quanto tempo?

Come nel movimento dei Gilet Gialli del 2018, il nazionalismo è una forza trainante di queste proteste. Nessunu ha ancora tirato fuori le bandiere francesi, ma potrebbero fare presto la loro comparsa. Nel bene e nel male, dopo i Gilet gialli, l’immaginario politico francese mainstream si è concentrato quasi interamente sulla Rivoluzione francese. Si chiede la decapitazione di Macron, per proteggere il sacro onore della democrazia francese, e così via dicendo. Tutto questo si accompagna ad un nazionalismo ampio e – per ora – confuso. Il partito di estrema destra “Rassemblement National” di Marine Le Pen è in attesa di capitalizzare la situazione.

Per continuare a crescere, il movimento dovrà superare i suoi limiti attuali. Finora le rivolte e i blocchi sono stati a maggioranza bianca. La maggior parte della classe operaia di colore non beneficerà comunque dell’attuale sistema pensionistico; a meno che non sia chiaro cosa potrebbero guadagnare da questo movimento, probabilmente non scenderanno in piazza e questo limiterà la possibilità di un’insurrezione. Inoltre, sebbene siano circolate immagini drammatiche da Parigi e da altre città, a differenza dei Gilet Gialli, questo movimento è partito dalle grandi città e non è chiaro quanto si diffonderà nelle zone più rurali del Paese.

Allo stesso modo, resta da vedere come un nuovo ciclo di agitazioni in Francia influenzerebbe i movimenti in altre parti del mondo. Il ritmo delle agitazioni in Francia è generalmente sfasato rispetto agli eventi politici di altri Paesi. Il movimento “Occupy” e i suoi equivalenti hanno avuto luogo in Spagna, Grecia, Stati Uniti e persino in Germania nel 2011, ma l’equivalente francese, “Nuit Debout”, si è verificato ben cinque anni dopo; il movimento dei Gilet gialli è iniziato un anno prima della maggior parte delle rivolte globali del 2019. Ma con la ripresa dei movimenti in Grecia e altrove, gli eventi in Francia potrebbero contribuire a plasmare l’immaginario popolare in tutto il mondo. Nessuna delle tensioni che hanno catalizzato le rivolte globali del 2019 e la rivolta [dopo la morte] di George Floyd del 2020 è stata risolta. Dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Russia all’Iran, i governi hanno semplicemente tentato di reprimere il dissenso con la forza bruta, mentre le persone diventavano lentamente e costantemente più disperate e arrabbiate.

A breve termine, lu compagnu in Francia sperano di costruire il potere per resistere alle imminenti leggi repressive contro le persone migranti, le persone senza documenti, le persone senzatetto e lu abusivu [ – leggi] che sono in cantiere da parte del governo di Macron e Borne. A Parigi e nelle zone limitrofe, in particolare, la lotta contro la preparazione della città per i Giochi Olimpici dell’estate 2024 è nella mente di molte persone. Reclamare le strade è urgente quando gli sgomberi, la distruzione di parchi e spazi pubblici e la costruzione di infrastrutture massicce e inutili nella periferia nord di Parigi vengono utilizzati come strumenti per controllare e ripulire quartieri tradizionalmente popolari.

Il movimento “Nuit Debout” del 2016, [appartenente ad] una parte della resistenza contro la legge sul lavoro introdotta quell’anno con l’articolo 49 comma 3, è un precedente per il movimento che sta emergendo oggi.


La macronie è quasi finita?

Originale in francese.

L’annuncio, giovedì 16 Marzo, dell’utilizzo del 49.3 da parte del governo per imporre la sua riforma pensionistica ha spinto il movimento di protesta in una nuova dimensione. Nonostante una repressione feroce, una strana miscela di rabbia e di gioia si diffonde su tutto il territorio: manifestazioni selvagge, blocchi a sorpresa di strade, invasione di centri commerciali o di ferrovie, lanci di spazzatura sugli uffici dei deputati, incendi notturni di rifiuti, tagli mirati dell’elettricità, ecc La situazione è ormai ingestibile e il Presidente non ha altra corda al suo arco che promettere che resisterà a tutti i costi e [far] sprofondare [il tutto] in un impeto di violenza. I prossimi giorni saranno quindi decisivi: o il movimento si stanca – ma tutto indica il contrario -, oppure il [governo] quinquennale di Macron crolla. In questo testo cercheremo di fare il punto della situazione, analizzando le forze coinvolte, le strategie e gli obiettivi a breve e medio termine.

Solo contro tutti

Se consideriamo le due forze ufficialmente presenti, la situazione è unica in quanto nessuna delle due può permettersi di perdere. Da un lato, abbiamo il “movimento sociale”, che spesso pensiamo sia scomparso ma che ritorna sempre in mancanza di qualcosa di meglio. I più ottimisti vedono in questo il preludio necessario per costruire un rapporto di forza che potrebbe aprire la strada ad una rivolta o addirittura a una rivoluzione. I più pessimisti credono che, al contrario, sia compromesso fin dall’inizio – che la canalizzazione e la ritualizzazione del malcontento popolare contribuisca alla buona gestione dell’ordine dominante e quindi al suo mantenimento e rafforzamento.

Comunque sia, sulla carta questo “movimento sociale” ha tutte le carte in regola per vincere: i sindacati sono uniti, le manifestazioni sono numerose, l’opinione pubblica gli è largamente favorevole e il governo, sebbene sia stato eletto democraticamente, è molto in minoranza. Le stelle sono quindi allineate, tutte le luci sono verdi; in queste condizioni oggettivamente favorevoli, se il “movimento sociale” perde, significa che non potrà mai più immaginare o pretendere di vincere qualcosa.

Scioperi e blocchi sono scoppiati in tutta la Francia.

Dall’altra parte ci sono Emmanuel Macron, il suo governo e alcuni fanatici che credono in lui. Sanno di essere una minoranza, ma è da lì che traggono la loro forza. Macron non è un presidente che è stato eletto per piacere o solo per essere apprezzato. Egli incarna il capolinea della politica: la sua pura e perfetta aderenza all’economia, all’efficienza, allo spettacolo. Non vede le persone, la vita, gli esseri umani; vede solo atomi da cui estrarre valore. Macron è una sorta di droide malvagio che vuole il meglio per coloro che governa e contro la loro volontà. La sua idea di politica è un foglio Excel: finché i calcoli saranno corretti e i numeri giusti, continuerà ad andare avanti a ritmo costante. D’altra parte sa che se esita, trema o si arrende, non potrà pretendere di governare niente e nessuno.

Un confronto non è però una simmetria. Ciò che minaccia il “movimento sociale” è la stanchezza e la rassegnazione. L’unica cosa che potrebbe far desistere il presidente è il rischio concreto di una rivolta. Dopo il ricorso all’articolo 49.3, giovedì 16 Marzo, vediamo che la situazione sta cambiando. Ora che la negoziazione con le autorità è diventata obsoleta, il “movimento sociale” sta ribollendo e superando se stesso. I suoi contorni stanno diventando pre-insurrezionali.

Rimane una terza forza, non ufficiale, l’inerzia: coloro che, per il momento, rifiutano di unirsi alla battaglia per pigrizia, casualità o paura. Al momento giocano effettivamente a favore del governo; ma più la situazione sarà instabile, più dovranno schierarsi: o a favore del movimento o del governo. Il grande risultato dei Gilet Gialli è stato quello di far uscire la frustrazione e l’insoddisfazione da dietro gli schermi.

Il miglior pensionamento è l’attacco1

Ma cosa c’è veramente dietro questo confronto e la sua messa in scena? Cos’è che stringe il cuore, ispirando coraggio o rabbia? La posta in gioco è il rifiuto del lavoro.

Ovviamente nessuno osa formulare la questione in questo modo, perché non appena si parla di lavoro, una vecchia trappola si chiude su di noi. Il suo meccanismo è però rudimentale e ben noto: dietro il concetto stesso di lavoro si sono volontariamente confuse due realtà ben distinte. Da un lato, il lavoro come partecipazione singolare alla vita collettiva, alla sua ricchezza e creatività. Dall’altro, il lavoro come forma particolare di lavoro individuale nell’organizzazione capitalistica della vita, cioè il lavoro come dolore e sfruttamento. Se ci si azzarda a criticare il lavoro, o addirittura a desiderarne l’abolizione, di solito ciò viene inteso come un capriccio piccolo-borghese o un nichilismo punk da strapazzo. Se vogliamo mangiare il pane, abbiamo bisogno di panettieri; se vogliamo i panettieri, abbiamo bisogno di fornai; se vogliamo i fornai, abbiamo bisogno di muratori; e per la pasta che mettiamo nel forno, abbiamo bisogno di contadini che seminano, raccolgono e così via. Nessuno, ovviamente, è in grado di contestare queste prove.

Il problema, il nostro problema, è che se rifiutiamo il lavoro a tal punto, se siamo milioni nelle strade e sui marciapiedi per evitare di essere sottopostu ad altri due anni di lavoro, non è perché siamo pigru o sogniamo di entrare in un club di bridge, ma perché la forma che lo sforzo comune e collettivo ha assunto in questa società è insopportabile, umiliante, spesso senza senso e mutilante. Se ci pensate, non abbiamo mai lottato per la pensione ma sempre contro il lavoro.

Che la gente riconosca collettivamente, su larga scala, che per la grande maggioranza di noi il lavoro è dolore: le autorità non possono permettere che questa idea prenda piede, perché implicherebbe la distruzione dell’intero edificio sociale, senza il quale non sarebbero nulla. Se la nostra condizione comune è quella di [essere consapevoli di] non avere potere sulla nostra vita, allora, paradossalmente, tutto diventa di nuovo possibile. Notiamo che le rivoluzioni non hanno necessariamente bisogno di grandi teorie e analisi complesse; a volte è sufficiente una piccola richiesta che si mantiene fino alla fine. Basterebbe, ad esempio, rifiutare di essere umiliatu: da un orario, da un salario, da un manager o da un compito. Basterebbe un movimento collettivo che sospenda l’angoscia del calendario, della lista delle cose da fare, dell’agenda. Basterebbe rivendicare la minima dignità per se stessu, per la propria famiglia e per lu altru, e l’intero sistema crollerebbe. Il capitalismo non è mai stato altro che l’organizzazione oggettiva ed economica dell’umiliazione e del dolore.

Una critica della violenza

Detto questo, dobbiamo riconoscere che nell’immediato futuro l’organizzazione sociale che stiamo contestando non è tenuta insieme solo dal ricatto sulla sopravvivenza – e imposta a tuttu. È tenuta insieme anche dalla violenza della polizia. Non entreremo nel merito del ruolo sociale della polizia e delle ragioni per cui si comporta in modo così detestabile; queste sono già state sintetizzate abbastanza bene nel testo “Perché tutti i poliziotti sono dei bastardi”. Ciò che ci sembra urgente è pensare strategicamente alla loro violenza, a ciò che essa reprime e soffoca attraverso il terrore e l’intimidazione.

Negli ultimi giorni, ricercatori e commentatori hanno denunciato la mancanza di professionalità della polizia, i suoi eccessi, la sua arbitrarietà, a volte persino la sua violenza. Persino su BFMTV [il canale d’informazione conservatore più seguito in Francia] si sono stupiti del fatto che delle 292 persone arrestate giovedì 16 Marzo a Place de la Concorde, 283 siano state rilasciate dalla polizia senza essere perseguite e le restanti 9 abbiano ricevuto una semplice ammonizione. Il problema di questo tipo di indignazione è che, concentrandosi su una disfunzione percepita del sistema, si impedisce di vedere ciò che può essere solo una strategia intenzionale. Se centinaia di BRAV-M [le Brigades de répression des actions violentes motorisées, unità motociclistiche della polizia istituite durante le proteste dei Gilet gialli] si aggirano per le strade di Parigi per inseguire e picchiare lu manifestanti, se venerdì un decreto prefettizio ha vietato qualsiasi assembramento in un’area che comprende circa un quarto dell’intera capitale, è perché [Emmanuel] Macron, [il ministro dell’Interno Gérald] Darmanin e [il prefetto della polizia di Parigi Laurent] Nunez hanno concordato il metodo: svuotare le strade, offendere i corpi, terrorizzare i cuori… in attesa che passi.

Ripetiamo, non si vince mai “militarmente” contro la polizia. La polizia rappresenta un ostacolo che deve essere tenuto sotto controllo, schivato, far esaurire, disorganizzare o demoralizzarlo. Eliminare la polizia non significa sperare ingenuamente che un giorno deponga le armi e si unisca al movimento, ma al contrario fare in modo che ogni suo tentativo di ristabilire l’ordine attraverso la violenza produca più disordine. Ricordiamo che il primo sabato del movimento dei Gilet Gialli, sugli Champs Elysees [un famoso viale di Parigi], la folla che si sentiva particolarmente legittimata cantava “la polizia [è] con noi”. Poche cariche della polizia e gas lacrimogeni dopo, il viale più bello del mondo si è trasformato in un campo di battaglia.

Imparare le lezioni della repressione

Detto questo, le nostre capacità decisionali strategiche per la strada sono molto limitate. Non abbiamo uno staff, ma solo il nostro buon senso, i nostri numeri e una certa inclinazione all’improvvisazione. Nella configurazione attuale, possiamo comunque trarre alcune lezioni da queste ultime settimane:

  • Il controllo delle manifestazioni, cioè il compito di mantenerle entro i limiti dell’innocuità, è un compito condiviso tra i leader sindacali e le forze di polizia. Una manifestazione che si svolge come previsto è una vittoria per il governo. Una manifestazione che travalica i limiti preparati per essa diffonde l’ansia tra i vertici del governo, demoralizza la polizia e ci avvicina all’abolizione del lavoro. Una folla che non accetta più il percorso guidato dalla polizia, che danneggia i simboli dell’economia ed esprime la sua rabbia con gioia, è una perturbazione e quindi una minaccia.

  • Finora, ad eccezione del 7 Marzo, tutte le manifestazioni di massa sono state contenute dalla polizia. I cortei sindacali sono rimasti perfettamente ordinati e lu manifestanti più determinatu sono statu sistematicamente isolatu e brutalmente repressu. In alcune circostanze, un po’ di audacia libera l’energia necessaria per uscire dall’inquadramento; in altre, può consentire alla polizia di chiudere violentemente ogni possibilità. Succede che quando si vuole rompere una finestra, prima ci si rompe il naso sul bordo della cornice.

  • Per la loro velocità di movimento e la loro estrema brutalità, i poliziotti del BRAV-M sono l’ostacolo più temibile. La fiducia che si sono costruiti negli ultimi anni e soprattutto nelle ultime settimane deve essere minata. Se non possiamo escludere la possibilità che piccoli gruppi possano occasionalmente superarli e ridurre la loro audacia, l’opzione più efficace sarebbe che la folla pacifica di sindacalisti e manifestanti non tollerasse più la loro presenza, si alzasse con le mani in alto ogni volta che questi poliziotti tentano di sfondare la manifestazione, gridasse contro di loro e li spingesse via. Se la loro presenza nelle manifestazioni inizierà a creare disordine invece di ristabilire l’ordine, il signor Nunez sarà costretto a esiliarli sull’Ile de la Cité [l’isola al centro di Parigi], per rinchiuderli nel loro garage di rue Chanoinesse.

  • Giovedì 16 Marzo, dopo l’annuncio del ricorso all’articolo 49.3, una manifestazione sindacale annunciata in anticipo e più volte convocata, è confluita dall’altra parte del ponte della Concorde, davanti all’Assemblea Nazionale. Poiché l’obiettivo primario della polizia è quello di proteggere i rappresentanti della nazione, la folla è stata respinta verso sud. Grazie a questa manovra, lu manifestanti si sono ritrovatu spintu e dispersu nelle vie turistiche del centro città. I cumuli di rifiuti lasciati [a terra a causa] dello sciopero dei netturbini, si sono trasformati spontaneamente in falò, rallentando e impedendo la reazione della polizia. In modo spontaneo, in molte città del Paese, i roghi di bidoni della spazzatura sono diventati la firma del movimento.

  • Venerdì 17 Marzo, un nuovo appello sul concentramento a Place de la Concorde era stato contenuto. Sebbene lu manifestanti fossero coraggiosu e determinatu, si sono ritrovatu in una trappola, una morsa, incapaci di recuperare la loro mobilità. La prefettura non ha commesso lo stesso errore del giorno precedente. Sabato, un terzo appello a riunirsi nella stessa piazza ha convinto le autorità a vietare tutti gli assembramenti in un’area che si estende dagli Champs Élysées al Louvre, dai Grands Boulevards alla rue de Sèvres – in altre parole, [coprendo] circa un quarto di Parigi intorno al Palazzo presidenziale dell’Eliseo e all’Assemblea nazionale. Migliaia di agenti di polizia dislocati nell’area sono stati in grado di impedire l’inizio di qualsiasi raduno molestando lu passanti. Dall’altra parte della città, un raduno a Place d’Italie ha preso alla lettera il dispiegamento di polizia e ha dato vita a una manifestazione spontanea nella direzione opposta. I gruppi mobili sono riusciti a bloccare le strade per diverse ore, incendiando i bidoni della spazzatura e sfuggendo temporaneamente al BRAV-M.

  • L’ABC della strategia è che le tattiche non devono scontrarsi, ma comporsi. La prefettura di Parigi ha già presentato la sua narrazione della battaglia: manifestazioni di massa responsabili ma innocue da una parte, rivolte notturne guidate da frange radicali e illegittime dall’altra. Chiunque sia stato in strada in quest’ultima settimana sa quanto questa caricatura sia una menzogna e quanto sia importante [per il governo] mantenerla. Perché questa è la loro arma definitiva: dividere la rivolta in buoni e cattivi, responsabili e incontrollabili. La solidarietà è il loro peggior incubo. Se il movimento acquista intensità, i cortei sindacali finiranno per essere attaccati e, di conseguenza, si difendono. I blocchi a sorpresa delle tangenziali da parte di gruppi della CGT [Confédération Générale du Travail, un sindacato nazionale] indicano che una parte della base è già decisa ad andare oltre i rituali. Quando lunedì la polizia è intervenuta a Fos-sur-Mer per far rispettare gli ordini del prefetto, i lavoratori sindacalizzati sono passati allo scontro. Più le azioni si moltiplicheranno, più la morsa della polizia si allenterà. Gérald Darmanin ha ricordato che negli ultimi giorni ci sono state più di 1200 manifestazioni spontanee.

“Il potere è logistico – blocchiamo tutto”

Al di là della sua stessa violenza, l’efficacia della polizia risiede anche nel suo potere di diversione. Determinando il luogo, la forma e il momento dello scontro, essa sottrae energia al movimento.

Il blocco è cruciale e vitale se scommettiamo sul disordine e sulla minaccia che esso rappresenta sul potere [- facendo rinunciare a] Macron [l’] estensione della durata del lavoro. Infatti, nessuno aspetterà all’infinito lo sciopero generale di una classe operaia e di un movimento sindacale erosi da 30 anni di neoliberismo; il gesto politico più ovvio, spontaneo ed efficace è ora il blocco dei flussi economici, l’interruzione del normale flusso di merci e persone.

Quello che è stato organizzato a Rennes per due settimane può servire da esempio. Piuttosto che affrontare la polizia come obiettivo primario, i cittadini di Rennes hanno dato vita ad assemblee semi-pubbliche in cui vengono concepite azioni di blocco. All’alba di questo lunedì, un appello per le “città morte” ha visto centinaia di persone distribuite in diversi punti della città, arrivando a bloccare le strade principali e la circonvallazione di Rennes. Due settimane prima, 300 persone hanno dato fuoco ai bidoni della spazzatura nel cuore della notte, bloccando la strada di Lorient fino al mattino presto. La sfida non è mai affrontare la polizia, ma coglierla di sorpresa, diventare furtivi. Anche dal punto di vista di chi giura solo sui numeri e aspetta ancora lo sciopero generale, questa moltiplicazione dei punti di blocco e del disordine è evidente. Se dopo l’esplosione in risposta all’uso dell’articolo 49.3 di giovedì scorso ci fosse stato solo l’appello [della dirigenza sindacale ufficiale] a manifestare il giovedì successivo, tuttu si sarebbero rassegnatu ad un’ultima resistenza e alla sconfitta. I blocchi e il disordine diffuso hanno ispirato il coraggio, la fiducia e lo slancio di cui il movimento aveva bisogno per proiettarsi oltre le scadenze stabilite dai leader sindacali.

Occupare per incontrarsi e organizzarsi

Il crollo della politica classica con i suoi partiti e la sua disillusione ha aperto la strada a innovativi esperimenti autonomi. Il movimento contro la legge sul lavoro, Nuit Debout [un movimento del 2016], i Gilet Gialli, les Soulèvements de la Terre [le rivolte della terra, una recente serie di mobilitazioni ambientali che utilizzano l’azione diretta di massa] e molti altri hanno confermato negli ultimi anni che non solo non c’era più nulla da aspettarsi dalla rappresentanza [politica], ma che nessuno la voleva più.

Ognuna di queste sequenze meriterebbe un’analisi approfondita dei suoi punti di forza e di debolezza, ma ci atterremo a un fatto fondamentale: disfare il potere implica inventare nuove forme e per questo, nell’atomizzazione della metropoli, abbiamo bisogno di luoghi in cui incontrarci, pensare e agire. Per decenni, l’occupazione di edifici, campus universitari o altri luoghi faceva parte delle pratiche ovvie di ogni movimento. Un presidente di università che accettava l’intervento della polizia nel suo campus veniva immediatamente condannato, poiché si dava per scontato che la riappropriazione collettiva e partecipativa dello spazio fosse una risposta minima contro la privatizzazione di tutti gli spazi e del controllo dello spazio pubblico.

È chiaro che oggi nessuna occupazione è tollerata. Come è successo a Rennes, l’occupazione di un cinema abbandonato e trasformato in una Maison du Peuple [“casa del popolo”] – dove si incontravano sindacalisti, attivistu e gente del posto -, è stato sgomberato entro 48 ore dal sindaco socialista della città, inviando centinaia di poliziotti. Per quanto riguarda le università, le autorità invocano spudoratamente i rischi di disordini e la possibilità di lezioni a distanza per chiudere [gli edifici] amministrativi o inviare la polizia contro le stesse persone studenti. D’altra parte, tutto questo sottolinea quanto sia importante avere luoghi in cui incontrarsi e organizzarsi, quanto questi possano aumentare le nostre capacità. A Parigi, è stata tentata l’occupazione della Bourse du Travail dopo un’assemblea chiassosa e un banchetto spontaneo sotto il tetto del movimento operaio. Tuttavia, si è spenta nella notte, a causa dell’indecisione o dell’incomprensione dei sindacati e dei ribelli autonomi. Abbiamo bisogno di luoghi per costruire connessioni e solidarietà e abbiamo bisogno di connessioni e solidarietà per tenere i luoghi. La storia dell’uovo e della gallina.

A Rennes, il movimento ha temporaneamente superato il problema: una volta evacuatu, lu partecipanti della Maison du Peuple si sono riunitu in pieno giorno e hanno continuato a organizzare blocchi e riunioni, probabilmente in attesa di essere sufficientemente unitu e fortu per riprendersi un posto con un tetto, acqua corrente e riscaldamento. A Parigi, i limiti raggiunti dall’esperimento Nuit Debout sembrano aver precluso la possibilità di riunirsi all’aperto. La caricatura che permane vorrebbe che le discussioni all’aperto producano solo monologhi senza inizio né fine. Tuttavia ricordiamo l’aperitivo da Valls2 e la possibilità, anche dalla nostra egocentrica solitudine metropolitana, di decidere al volo di precipitarci sotto casa del Primo Ministro con diverse migliaia di persone. Il fatto che il governo sia così intenzionato a lasciarci senza punti di incontro dimostra quanto sia urgente istituirli.

Verso l’infinito e oltre

Come abbiamo detto, i contorni del movimento stanno diventando pre-insurrezionali. Ogni giorno i blocchi si moltiplicano, le azioni si intensificano. Giovedì sarà quindi decisivo. Dal punto di vista della riforma, se le manifestazioni di giovedì sfuggiranno al controllo, Macron si troverà con le spalle al muro. O si assumerà il rischio di un sabato nero3 in tutto il Paese – cioè la “vestificazione gialla” che lui teme più di ogni altra cosa – oppure si tirerà indietro venerdì, invocando il rischio di significative esplosioni incontrollabili.

Tutto è in gioco ora, e non solo. La sinistra è in agguato, pronta a vendere una scappatoia elettorale, l’illusione di un referendum, o addirittura la costruzione della Quarta Internazionale, qualsiasi cosa serva per invocare la pazienza e il ritorno alla normalità. Per resistere ed evitare la cooptazione e la repressione, il movimento dovrà affrontare al più presto la questione centrale di ogni rivolta: come organizzarsi. Senza dubbio, alcunu stanno già pensando e parlando di come vivere il comunismo e diffondere l’anarchia.


Translation courtesy of Gruppo Anarchico Galatea.

Further Resources


Appendix

We present here a hasty translation of a statement from comrades in France whose friend was severely injured by police in Sainte-Soline.

Communiqué about S., a comrade whose life is at risk following the demonstration in Sainte-Soline.

On Saturday, March 26, in Sainte-Soline, our comrade S. was hit in the head by an explosive grenade during the demonstration against the basins [a project of large water reservoirs for industrial farm irrigation]. In spite of his critical condition, the prefecture first intentionally prevented emergency services from intervening, then prevented them from transporting him to an appropriate care unit a second time. He is currently in neurosurgical intensive care. At this time, his life hangs by a thread.

The outburst of violence that the demonstrators suffered inflicted hundreds of injuries, including several serious physical injuries, as announced in the various reports available. The 30,000 demonstrators had come with the objective of blocking the construction of the mega-basins of Sainte-Soline, a project of water monopolization carried out by a small number of people for the benefit of a capitalist model that has nothing left to defend but death. The violence of the armed arm of the democratic state is the most striking expression of this.

In response to the window of possibility that the movement against the pension reform has opened, the police are mutilating people and even trying to assassinate people in order to prevent an uprising, to defend the bourgeoisie and its world. Nothing will weaken our determination to put an end to their reign. On Tuesday, March 28 and the following days, let’s strengthen the strikes and blockades, let’s take the streets, for S. and all those from our movements who have been wounded and locked up.

Long live the revolution.

Comrades of S.

PS: If you have any information about the circumstances of the injuries inflicted on S., please contact us at:

s.informations@proton.me

We want this communiqué to be spread as widely as possible.

  1. Riferimento a “la migliore forma di difesa è l’attacco”; il testo originale fa un gioco di parole sulla somiglianza tra le parole francesi per “ritirata” e “pensionamento”. 

  2. Il 9 Aprile 2016, durante un’assemblea generale, lu partecipanti al movimento Nuit Debout hanno deciso di auto-invitarsi a casa del primo ministro Manuel Valls per un aperitivo. Un mese dopo, il 10 Maggio 2016, di fronte a un movimento sociale indisciplinato), Valls ha annunciato di aver deciso di invocare l’articolo 49.3 della Costituzione per attuare l’impopolare Loi Travail [legge sul lavoro] senza il voto dell’Assemblea nazionale – e ponendo un precedente per la crisi attuale. 

  3. A partire dal 1° Dicembre 2018, il movimento dei Gilet Gialli si è ripetutamente mobilitato il sabato, sconvolgendo le aree urbane.